Dalla strada al palcoscenico. E ora chiamatemi “Tenore abusivo”

Penultimo di sei fratelli, tre maschi e tre femmine, Michele Saracino fin da bambino conobbe il senso del sacrificio dopo che suo padre un giorno gli disse “tu questa vita non la dovrai fare”. Un’infanzia travagliata che ancora oggi è rimasta scalfita tra i suoi ricordi, un pò al nord e altri lasciati nella sua terra, la Puglia.

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Nato a Brindisi il 4 gennaio del 1988, Michele Saracino è una giovane promessa del canto. Figlio di un ex contrabbandiere di sigarette e una madre casalinga a cui lui stesso darà lavoro, Michele è figlio anche di un dono della natura, la voce. Come comincia la tua storia? “All’età di 4 anni, io e la mia famiglia, ci trasferiamo a Milano, dopo un avvenimento che mi è rimasto impresso. Mio padre si trovava in Albania, quando lo scafo in cui è a bordo espode. Vivo per miracolo, torna a casa preoccupato per noi e rivolgendosi a me, dice una frase che oggi traduco come se avesse voluta dirla a se stesso: “tu questa vita non la dovrai fare”. Da quel giorno la famiglia di Michele salì al nord, a Milano, per l’esattezza a Magenta, luogo in cui oggi Michele cammina per le strade e ricorda persino il negozio all’angolo in cui la sorella maggiore, Annalisa, gli comprò un regalo. “In questa cittadina, a cui sono molto affezionato, comincia una nuova vita: mio padre, finalmente, aveva smesso con quel “lavoro” (contrabbandiere di sigarette) e aveva iniziato a fare il muratore assieme a un amico di famiglia. Mia mamma, da sempre brava ai fornelli, si occupava a tempo pieno di noi fratelli e ricordo ancora quando nella corte in cui vivevamo, ci portava a fare pipì nel bagno esterno. Si viveva nella difficoltà di affrontare il quotidiano ed essendo in “terra straniera”, a poco a poco ero diventato taciturno e introverso. A distanza di anni hai un chiaro ricordo legato alla tua tenera età. Cos’altro vuoi raccontare? “Grazie a mia madre, colei che si occupava della casa e di noi, col tempo ero riuscito a sbloccarmi e parlare con i compagni di scuola nella “loro lingua” e non più solo col mio dialetto brindisino. Mi sentivo soddisfatto, come quando di rado capitava di fare colazione con il cappuccino al bar sotto i portici e il signore al banco mi offriva un cioccolatino. Col vicino di corte giocavo con le macchinine telecomandate, io amante delle auto ancora adesso e desideroso di avere un gioco tutto mio. Così, un mattino dei miei 4 anni, aprii gli occhi e vidi mia madre alle sponde del letto che diceva “svegliati, presto, andiamo a scegliere il regalo che vuoi”. Scelsi Ken, il compagno di Barbie, perchè mi aveva colpito la sua eleganza”. Un abbigliamento che oggi si avvicina molto allo stile di Michele, nella sua camicia e giacca nere. A Magenta avete vissuto circa un anno, poi vi siete trasferiti a Vittuone, dove tuo padre ebbe qualche problema con la giustizia a causa del lavoro che svolgeva prima al sud. Cosa accadde? “Essendo una famiglia numerosa, la fortuna di stringerci l’uno all’altro è stata di grande forza. Anche un cagnolino, Sissì, era entrato nella nostra routine per portare un pizzico di allegria. Mia madre da un lavoro, ne aveva trovato un secondo e poi un terzo. Dalle pulizie, a cucinare per Katia Ricciarelli alla Scala di Milano. Quel mese di prigionia per mio padre fu la vera ragione di cambiamento nella famiglia Saracino: al suo ritorno, andammo ancora una volta tutti insieme a vivere a Milano. Una sera, avevo circa 9 anni, ero sceso in strada a portare Sissì a fare un giro e così incontrai un barbone che insistette per leggermi la mano. Io, pensando alle raccomandazioni della mamma, diffidai ma quel signore che premurosamente colse l’occasione di proteggermi dalla strada e alla fine accettai di scoprire cosa dicevano le mie quattro linee. “Un giorno diventerai qualcuno di importante”. Un fulmine a ciel sereno che però in quel periodo grigio passò del tutto inosservato. “Gli anni a venire mio padre decise di trasferci a Rosasco Lomellina, vicino a Robbio, in un rudere tutto da ristrutturare, lui che per lavoro si recava spesso lì e se n’era innamorato. Un piccolo comune in cui mi feci nuovi amici e che qualche anno dopo, a 12 anni, mi vide alle prese con il primo lavoro da elettricista. Il clima che si respirava in casa era difficile, tanto da rendermi irascibile e solitario, come quando salimmo la prima volta a Magenta”. Michele e la sua famiglia decisero di provare a dare una svolta alle loro vite, aprendo un ristorante che nel 2009, dopo pochi anni di attività, chiuse e quindi tutto ciò che per amore della famiglia Michele si era intestato, venne prontamente pignorato. Rudere compreso. “A ventidue anni, anzichè godermi la vita come molti coetanei facevano, mi ritrovavo a fare i conti con le cartelle esattoriali. I suoi sfoghi li combatteva sul ring, in compagnia degli amici di sempre, quelli di una piccola Rosasco in cui Michele ha vissuto anni terribili. “Una sera al bar, accettai la sfida dei miei amici nel cantare una canzone: “Nessun dorma” venne applaudita senza eguali. In quel momento, ad assistere alla mia prima performance improvvisata, c’era anche il pianista di Ron, Fabio Baldina, il quale mi invitò a casa sua a ricantare la canzone di Pavarotti aIMG-20160321-WA0002(1)l piano. Grazie alla sua fiducia, riuscii a partecipare e vincere al Palio Dl’ Urmon a Robbio. In seguito, ti proposero un duetto con Carmen Masola (vincitrice Italia’s got Talent) davanti a settantamila persone. Tante soddisfazioni in campo musicale ma nel frattempo, i rapporti con i tuoi erano risicati. Dove vivevi? “Mi andava tutto a gonfie vele ma a un certo punto mi trovai in mezzo a una strada. Per non chiedere aiuto alle persone più fidate nè tantomeno dare a vedere la condizione in versavo a Rosasco, ero andato a Novara (città dove ora convivo con Jessica, la mia compagna). La sua nuova casa era un Ford Fiesta: un mese o poco più in un luogo sconosciuto e lontano da quei cari in rotta. Lavoretti a perditempo e una profonda solitudine fino a quando un mattino, passeggiando per le vie di Novara, raccoglie un euro davanti al bar Salottino. Qui entra e prende un caffè e un signore, guardandolo con aria impietosita, gli domanda cosa fa nella vita. “Quella persona al pomeriggio mi ha invitato nella sua azienda e, comprendendo la mia situazione, mi ha dato dei soldi, le chiavi di un monolocale e quelle del Bmw che guido ancora adesso”. Sarà la famiglia di Pietro, ora soprannominato “zio” da Michele, a ospitarlo per sei mesi dandogli un lavoro nella sua azienda. Uno zio mai avuto prima d’ora con la sua famiglia, cominciava a ridare una dignità a un giovane, tanto da dar lui la forza di riappacificare con i suoi genitori, tornati in Puglia. “Così qualche anno fa decisi di fare un salto alle mie origini, nella mia vecchia casa dove mi aspettava una madre orgogliosa di me e del mio talento artistico. Mi suggerì di partecipare a una delle tante corride locali che si tengono nelle notti d’estate al nostro paese e in una di quelle occasioni, Michele viene notato da Pino Fusco, comico del sud e Ernesto Germano Solferino, grande pittore. Cominciano senza un fermo gli anni dei provini, da quello ad Amici a Tu si que vales, molto recente (di gennaio ’16) da cui Michele è in attesa di una risposta. “Sono emozioni uniche che mi fanno commuovere ogni volta che le rivivo. Pietro e la sua famiglia mi hanno dato l’opportunità di realizzare un cd di otto tracce che ho voluto regalare ai miei amici. senza etichetta nè altro, ma per condividere la gioia di questa passione che vorrei diventasse un lavoro”, commenta Michele contento dei suoi traguardi. Chi sei oggi e come ti definiresti? “Oggi ho un biglietto da visita in cui dico che faccio serate e collaboro con i comici di Colorado, tra cui i Pampers. Il 9 aprile sarò al Teatro Borsa di Novara per la Notte delle Miss e l’idea che ho maturato in questi ultimi tempi è un pò quella di dar vita al primo laboratorio artistico a Novara. E a proposito delle critiche sul web? “La mia voce non è lirica e ne sono consapevole, però mi avvicino al timbro del grande Claudio Villa che ammiro molto”. Michele scherzosamente si definisce un “tenore abusivo”, lui che dalla strada ora calca i palchi del mondo che più ambisce: lo spettacolo.

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